Ci avete fatto caso che vogliamo tornare solo nei luoghi in cui siamo stati felici?
E ci avete fatto caso che esistono posti che da un momento all'altro nella nostra vita smettiamo di nominare, di cercare e di provare a ricordare?
Alla domanda quand’è stata l’ultima volta in cui vi siete sentiti contenti viene spesso da rispondere con il nome di una città + nome di qualcuno. Nessuno sa se questo bug sia un retaggio del love calculator degli anni ’90 o un algoritmo (fallibile) dell’ippocampo.
Avete ricordo di Noosa, Rimini e Gerusalemme? I ragazzi del 4ºNES del Liceo Sabin di Bologna sì. Hanno un sacco di belle storie da raccontare: lo hanno fatto il 12 e il 19 maggio insieme agli attori di ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione, all’interno del progetto Così sarà La città che vogliamo. Durante un laboratorio che – restando fermi – permette di viaggiare a 100 nodi da una favela a una capitale, attori e studenti si propongono di permeare lo scintillio delle apparenze e piantare erba sull’asfalto.
Cosa può il teatro in tutto questo? Riportare l’uomo davanti al suo simile scalzo, senza retorica né sensazionalismo, raccontando di quanto sia bello – nella disperazione – sorridere con tutti i denti che si hanno, soprattutto con quelli che ci mancano. Ma fino a un certo punto. Spiega Michele Dell’Utri, attore della compagnia, che questi laboratori sono «l’occasione per dimostrare che possono esistere modelli di azione alternativi e che la tutela nei confronti dei lavoratori dello spettacolo non è assistenzialismo». Sono possibilità di resistenza.
ERT resiste nella continua mutualità creativa che contraddistingue il fare per il fare, lasciando affiorare dei nuclei creativi che riguardano tutti. «Citando Paolo Grassi – ci dice Vittoria Scarlattei, attrice di ERT anch’essa impegnata in uno dei diversi laboratori nelle scuole – non è vero che il teatro è una cosa per pochi». Sembrerà un paradosso, ma se si comprende che a parlare tanto di virus si perde di vista proprio l’uomo, questo risorge. E la risorgenza passa attraverso l’esperienza che è «materia prima», aggiunge Dell’Utri.
Dall’uomo misura di tutte le cose si è passati all’uomo che misura tutte le cose, tracciando perimetri e confini netti e pericolosi. Saturare quando ci sarebbe bisogno di suturare, è la specialità umana. Non si sa perché, pure per piangere, si sia costruito un muro di 730 km da una parte del mondo; mentre a Praga, quando scatta l’ora all’Orologio astronomico, la statua della Morte si muove e si fa guardare da tutti. A Gerusalemme si piange molto, «ma nessuno vede le nostre lacrime» (Umm Judah).
Da queste riflessioni dei ragazzi nasce La città che vogliamo: una in cui la natura sia origine e causa di tutte le cose, senza dover chiedere il permesso per esistere. Gli studenti sognano poche macchine, tante bici, molti alberi come a Noosa, Australia. Desiderano tornare al mistero originario che muove le gambe d’estate per andare a Rimini. Mica al mare ma «da nonno, che aveva l’orto. A passare il tempo con lui», come si passa un testimone o un pallone per «smarcare» ciò che luccica soltanto. Questa parola presuppone la liberazione di un compagno della propria squadra dal marcamento avversario. Porta con sé una rivoluzione, una risorgenza. Il teatro può questo: sferrare il colpo senza doverlo smorzare sotto due cuscini, il contrario di Dillinger. Dell’Utri la suggerisce, a voler intendere che attraverso il progetto Così Sarà! si sono «smarcati dalle risposte “giuste”, dalle città “politicamente corrette” e sono venuti fuori cortocircuiti strabilianti».
Osserva invece Michele Lisi, anche lui attore ERT, che «il mito del mondo che ci siamo costruiti ha un immaginario» e l’espediente teatrale ha il compito di creare un cortocircuito che lo decostruisca e lo svesta dai filtri per raggiungerne il midollo. Il teatro è l’esercizio che permette di «deformare il proprio sguardo attraverso specchi, anch’essi deformanti, volti a ingigantire singoli aspetti del reale». È un colpitore d’incontro: non ha paura di dire le cose come stanno perché combatte a distanza ravvicinata. E, da incontrista qual è, perché è efficace in tutto questo? Perché ha riflessi pronti, rapidità e coraggio di incassare e contrattaccare i vuoti periodici che abitano l’uomo e la sua storia. Un gioco da #gobroregaz, insomma.