per cominciare
Che cosa pensi quando immagini il teatro? Una tanto semplice quanto generica domanda, le cui risposte non potranno che essere molteplici, diversificate e personali. Una cosa però sembra accomunarle tutte: il teatro è incontro e compresenza.
Con il lockdown tutte le esperienze performative hanno subito un arresto, forse più forte e fragoroso che in altri settori, perché se non si può vivere a meno di un metro di distanza, il teatro rischia di perdersi.
Il progetto Così Sarà! La Città che vogliamo (promosso dal Comune di Bologna, realizzato da Emilia Romagna Teatro Fondazione, finanziato dall’Unione Europea – Fondo Sociale Europeo, nell’ambito del Programma Operativo Nazionale Città Metropolitane 2014-2020) racchiude tante esperienze diverse che ruotano intorno al mondo del teatro. La programmazione triennale è stata pensata per abitare la città, ripensarla e immaginarla attraverso performance artistiche e laboratori che coinvolgono ragazzi e ragazze dell’università e delle scuole superiori di Bologna. ERT e gli altri soggetti partecipanti al progetto (Teatro dell’Argine, Teatro Testoni La Baracca, Kepler-452, Cassero) si sono trovati dunque davanti a un bivio: riorganizzare le proprie attività o fermarsi.
Continuare ha significato adattarsi a uno spazio immutabile e prestabilito: lo spazio della rete, l’unico che ci ha permesso di rimanere distanziati fisicamente, ma non socialmente. Una nuova piazza che, però, non sappiamo ancora come abitare al meglio. In questa condizione, inoltre, il pensiero sfugge a una velocità che cozza con l’immobilità del corpo. È una fragilità che rende lo stesso atto di pensare il lavoro artistico estremamente faticoso e discontinuo. Come possiamo agire se rimaniamo costantemente fermi? Come facciamo a far andare tutto bene? Come immaginare un nuovo pubblico, una nuova fruizione?
Il testo che vi proponiamo è frammentato, approssimativo e non ha nessuna pretesa di trovare delle risposte: punta piuttosto a fotografare su schermo questo periodo. Con la speranza che, se veramente le parole di oggi non sono quelle di domani, questo schizzo possa presto non servire più. O meglio, servire per un nuovo inizio.

Zoom, Teams e Meet
Rapporti variegati con mezzi obbligati
Aule virtuali e didattica a distanza, esserci ma non potersi toccare e percepire cinesteticamente. I nomi delle piattaforme rimandano a verbi e sostantivi che normalmente presuppongono una presenza. Oggi ci troviamo a fare squadra, a incontrarci nonostante i nostri corpi non abitino lo stesso spazio. Che cosa rimane di un progetto artistico nel momento in cui deve forzatamente essere ripensato per un nuovo mezzo?
Il rapporto che i diversi soggetti partecipanti al progetto hanno instaurato con questi mezzi obbligati è variegato: alcuni hanno scoperto un modo per continuare e reinventare le attività, altri invece hanno semplicemente preferito fermarsi. Fra le realtà che hanno deciso di tentare nuovi percorsi c’è il Cassero, che con l’iniziativa “Corpi Elettrici” ha adattato il progetto di formazione per gli studenti del Conservatorio alle nuove esigenze di distanziamento: «Nonostante tutto – racconta Daniele Del Pozzo del Cassero – siamo riusciti a mantenere una sorta di comunità fra dancemaker (collettivo Mine Vaganti) e ragazzi».
ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione ha deciso invece di inserirsi nel grande calderone delle lezioni online provando, con insegnanti e studenti, a mantenere e costruire un tipo diverso di comunità: «L’interattività – ci spiega Michele dell’Utri, uno degli attori di ERT impegnato nei laboratori per le scuole – è un tentativo di utilizzare gli strumenti dell’intrattenimento per sviluppare pensiero critico».
Sembra ancora troppo presto per definire delle norme; tuttavia le risposte risiedono nel processo.
Assenza/vuoto
Riscoprire la potenza della parola e dei suoi mezzi di diffusione
Si è cercato fin da subito di colmare il vuoto lasciato da quel «sono sospese tutte le manifestazioni organizzate, nonché gli eventi in luogo pubblico o privato, ivi compresi quelli di carattere culturale» (DPCM 8 marzo 2020). Il teatro si è fermato – almeno inizialmente – e con lui chi in esso e di esso vive. Si è fermato a riflettere sulla propria condizione e da lì ha cercato di trovare mezzi differenti per non arrestarsi, ma soltanto per ripensare i modi.
Alcune realtà teatrali sembrano aver affrontato quest’assenza come riscoperta della potenza della parola e dei suoi mezzi di diffusione: «Le parole sono le mani per toccare le cose che non puoi toccare», ci rivela sempre Michele Dell’Utri, citando Edoardo Sanguineti. Le parole sono state infatti il punto di partenza delle attività dei laboratori di ERT nelle scuole, un «territorio in cui incontrarci». Da qui gli attori della compagnia hanno ideato degli itinerari di viaggio con i ragazzi delle scuole superiori tramite il progetto DIRE + FARE = FONDARE in cui la città assente viene ripensata come luogo di incontro, di scambio e di comunità.
Specularmente il Teatro Testoni La Baracca ha ragionato sulle distanze giovanili, differenziando gli approcci in base alle diverse fasce di età: racconti animati per i più piccoli e input sull’essere – come li definisce Gabriele Marchioni della Baracca – «naufraghi d’appartamento» per i ragazzi. Con questi ultimi in particolare si riflette sull’esperienza di essere «ognuno nella propria isola in attesa del ritorno alla “normalità”, cogliendo l’occasione per creare proprie narrazioni». Questo affinché si scoprano e si ripensino tanto l’assenza quanto la presenza di persone ed affetti che, invece, nella quotidianità pre-pandemica si trascuravano o davano per scontati.
Compresenza
Esserci o non esserci?
Se l’incontro con l’altro può avvenire soltanto a distanza, è difficile immaginare come il teatro possa tornare ad agire. Politico Poetico, laboratorio progetto condotto del Teatro dell’Argine con le scuole superiori, è stato costretto a fermarsi. Gli operatori hanno deciso, come ci spiega Micaela Casalboni, di «mantenere comunque il legame creato con i ragazzi, ponendo loro interrogativi sulle tematiche proprie di questo momento: il futuro dell’ambiente e le crescenti disuguaglianze sociali».
Sperimentare l’interattività che questi mezzi virtuali concedono è un tentativo di sintonizzarsi con i più giovani che, durante i mesi di lockdown, sono stati i più capaci di rimanere in contatto sfruttando le risorse del web. Il teatro però, in questo contesto, ha assunto un ruolo marginale. L’interattività propria del social network lascia poco spazio per la creazione artistica e la presenza è stata costretta ad adattarsi alle logiche del mezzo. Esserci, in qualunque modo, è diventato più importante di come esserci.
Michele Dell’Utri ci racconta che, nell’ambito di DIRE+FARE=FONDARE, è stata creata la rubrica social “Il mondo salvato dai regaz”, dove gli studenti pubblicano immagini di città per loro particolarmente significative. Il compito degli attori è di trasformare «criticamente» i materiali, ricavandone delle mappe concettuali e aprendo dibattiti con gli studenti. L’obiettivo è ri-costruire una comunità teatrale, dove il teatro prova a fare un passo indietro e, attraverso un giro largo, prova a riposizionarsi più vicino ai giovani.
Alla luce di questi esperimenti virtuali, ci siamo chiesti, insieme ai partner, quali alternative potrebbero aprirsi per il teatro se il lockdown si ripresentasse. Cosa succede a una comunità se l’incontro viene sempre più a mancare? Cambierebbe il modo di approcciarsi alla rete? Quali rischi sociali ed emotivi si prospetterebbero?
Ridefinire pratiche e spazi
O della sostenibilità dei progetti pre-esistenti
Oltre alla riflessione sulla comunicazione, l’incertezza del momento della pratica ha favorito la scoperta di nuovi spazi e modalità creative, sebbene ancora tutti da esplorare nelle loro potenzialità. Il Cassero, per esempio, ha rivalutato il mezzo digitale come nuova risorsa relazionale, poiché «nel momento in cui funziona, genera un maggiore desiderio di vedersi dopo, in presenza», dice Del Pozzo. A livello produttivo, inoltre, le piattaforme online hanno consentito loro una maggiore sostenibilità economica. «Questa modalità – prosegue Del Pozzo – non sostituisce la pratica dal vivo, tuttavia questo periodo ci ha rivelato che può affiancarla».
Alcuni progetti già programmati nel periodo pre-emergenziale, invece, si sono scoperti efficaci anche per la normativa vigente sul mantenimento delle distanze. Il Teatro dell’Argine ha recuperato Il Labirinto, spettacolo di realtà virtuale che, escludendo il sovraffollamento di una sala teatrale proprio grazie all’uso del visore, rivela come questo strumento sia particolarmente adatto alle misure di sicurezza odierne; mentre Kepler-452 sta portando avanti Lapsus Urbano, spettacolo itinerante che, attraverso l’uso individuale delle cuffie, rientra nel rispetto delle distanze, pur rilevando in esse quella che Nicola Borghesi definisce una «luce sinistra». Il progetto, secondo le parole della compagnia, è da intendersi come una «colonna sonora per un viaggio nel quale osservare e relazionarsi con il paesaggio urbano. Il tentativo è di restituire a esso un nuovo significato, mostrando ciò che della città è invisibile o è costantemente rimosso». Un percorso che porta a maturazione una sana (auto)critica, su condotte tanto individuali quanto amministrative. È in tal senso che speriamo andrà sviluppandosi il reinventarsi della città.
per concludere
Il mondo artistico, per poter riprendere le fila del proprio operare, dovrà, quindi, assumere uno spirito di adattamento continuo alle sempre nuove condizioni imposte dal clima di eccezionalità che stiamo vivendo; dovrà acquisire un atteggiamento di apertura a ignote possibilità, essere capace di mettersi costantemente in discussione.
È da questo stato di quiete, carico però di rinnovati stimoli e voglia di ripartire, che ci piacerebbe veder rifiorire le realtà culturali – tutte – e, con loro, i ragazzi e le ragazze coinvolti nel grande progetto che li unisce e li proietta in un futuro prossimo, quasi tangibile. Un futuro che ora più che mai è atto a scandire – un po’ come le fasi 1, 2 e 3 – le diverse tappe e aspettative pensate per costruire la città che vogliamo, città che
così era (e non ci piaceva),
così è (in ri-e-voluzione)
e Così Sarà (da idea a realtà).