Giulia Penta, Giulia Cesolari

Prosegue l’osservatorio di Altre Velocità sulle attività laboratoriali di Emilia Romagna Teatro Fondazione nell’ambito del progetto Così Sarà! La città che vogliamo, finanziato dal PON Metro e promosso dal Comune di Bologna. Questa volta a raccontarci la sua prospettiva sul “teatro senza mura” è Michele Dell’Utri, attore della compagnia stabile di ERT che in tutti questi mesi di pandemia ha continuato, assieme ai suoi colleghi, a ri-pensare il teatro per portarlo nelle scuole.

«La vita è qualcosa di più di un gioco di pazienza» osserva Michele citando una frase contenuta in Lettera al padre di Franz Kafka. Ogni grande evento a cui l’umanità va incontro – quasi sempre genuflettendosi – ha come pendant un glossario che lo inchioda, storicizzandolo. Nell’ultimo anno la parola “pazienza” è stata abusata, dagli striscioni del primo lockdown fino a oggi: non è andato tutto bene. Nel caso di Michele però è diverso, non solo perché il settore culturale avrebbe ragione di perderla – la pazienza – continuando a rimanere sullo sfondo di un’Italia che segue le direttive di un governo divaricato. La stasi non è mai stata la risposta giusta a situazioni di crisi, né l’attesa di tempi migliori o dell’azione (altrui).

Per Michele e gli attori della compagnia di ERT, proseguire con la programmazione e con i laboratori per le scuole significa «farsi carico delle oggettive e complesse problematicità dell’oggi, mettersi in discussione di fronte ai propri limiti, con e per i ragazzi». Per farlo, il progetto Dire+Fare=Fondare e l’intera programmazione invernale sono mutati in digitale: cambiare il mezzo, ma non i contenuti. Questo si è tradotto in una prima tranche di appuntamenti con le scuole, tra cui il percorso Fare – Viaggiare, conclusosi il 25 giugno con la presentazione all’Arena del Sole dell’atlante digitale con trecentocinquanta città mappate.

«Abbiamo provato a fare tesoro di questo grande trauma» per la seconda fase del progetto, perché il teatro fa (anche) questo: è Enea che porta sulle proprie spalle Achille, senza che del mito si conservi l’eroicità, ma piuttosto l’idea di un passaggio di testimone obbligato dal tempo umano che scorre. Quelle che dovevano essere pratiche di spettacolo partecipato dal vivo, si sono traslate su piattaforme online per poter continuare ad accompagnare nuove generazioni che altrimenti rischierebbero di perdere tappe fondamentali. Questo è vero tanto per i giovani quanto per gli insegnanti che fanno loro da guida: infatti, tra le varie iniziative era stato avviato il percorso Insegnare/Creare, pensato dagli attori di ERT per integrare le tecniche teatrali anche a livello didattico.

Il messaggio che si vuole far passare è che l’arte non sia solo fonte di servizi, bensì di dialogo e riflessione critica collettiva. Senza la rielaborazione culturale e sociale che rimpolpa l’atto del guardare, non sarebbe possibile interrogarsi sul presente né immaginare orizzonti di valore futuri. In quanto padre, Michele sottolinea come «tutto questo non avrebbe lo stesso impatto senza il grande lavoro dei professori», veri e propri pionieri che in questi ultimi anni sono stati screditati dalla schiera di nuovi genitori-PeterPan alleati dei figli.

Le richieste di collaborazione continuano dunque a essere numerose, con quaranta laboratori all’attivo tra cui Giochi per la città. «Abbiamo alzato il tiro, abbiamo preso dimestichezza con il mezzo. Abbiamo e sentiamo il dovere di spingerci, di osare rispetto a quello che facevamo prima». Alla domanda su come sia cambiato l’approccio dei ragazzi all’esperienza di gruppo online, Michele sospira: è difficile individuare le trame di un presente in cui fanno capolino neologismi come blursday, quaranteam e zoom fatigue… Ma se prima i ragazzi preferivano tenere la webcam spenta, adesso c’è molta più apertura, soprattutto in un momento in cui l’interazione online è indispensabile e non mancano su larga scala opinioni positive sul valore educativo di alcuni videogames, come per esempio il simulatore dei processi di disinformazione sui social network realizzato dall’Università di Cambridge.

Quindi, dal primo lockdown a ora, l’approccio laboratoriale si è modificato diventando, spiega Michele, «più consapevole». I momenti che erano stati pensati per una fruizione in presenza sono stati ibridati e arricchiti dai supporti online: per esempio la fotografia o le condivisioni di schermi mantengono comunque degli obiettivi in comune con quello che è il teatro in presenza. Ciò non significa, allora, considerare il teatro possibile in questo momento storico un campo di battaglia che può fare a meno del corpo, bensì considerare la non-fisicità non tanto come un arto mozzato, quanto come un arto aggiuntivo, bionico, in grado di resistere a più intemperie di quanto la normale epidermide teatrale sarebbe in grado di fare.

Ma allora, che cosa si perde e che cosa si guadagna attraverso la dimensione online? Sembra che si arricchisca una nuova conoscenza e – in parte – una nuova coscienza di ciò che ci circonda; di quanto la rapidità degli eventi trasformi le cose e le persone intorno a noi. Secondo Michele sembra che si possa guadagnare del tempo e una nuova prassi d’azione, un nuovo linguaggio d’att(r)acco per una pedagogia dell’oggi che può dialogare anche da dietro uno schermo perché, aggiunge Michele, «per fortuna ERT è inserito in una regione in cui ci sono dei comuni che si fanno carico di moltissime attività e, in questa situazione, ognuno di questi ha dato spazio al teatro vedendoci un valore da preservare. In altri regioni questo non è così scontato, ed è un peccato perché la follia, la competenza e la passione degli artisti non mancano. Il teatro può dare più di quanto si creda». E non dovremmo mai dimenticarlo, perché la storia del teatro è la storia dell’uomo e può insegnarci che tutti i palcoscenici del mondo possono traballare. La cosa importante è non dimenticarsi che un palcoscenico, per far danzare le proprie anime, non per forza serve.

Alla luce di tutto questo, il vero punto della questione affrontata con Michele prende il nome di necessità: perché l’uomo sente il bisogno di fare teatro? Da dove nasce questa grande necessità? L’attore ci risponde con queste parole:


«e Thomas Mann diceva, in altri termini di quanto direbbe un neuroscienziato, che si ha bisogno di essere ricordati a noi stessi».