Vittoria Majorana, Martina Ucci

Il progetto Politico Poetico, ideato dalla compagnia Teatro dell’Argine, nasce all’interno di “Così Sarà! La Città che vogliamo”, proponendosi come esperienza di cittadinanza attiva per i ragazzi e le ragazze delle scuole medie inferiori e superiori di Bologna, per un totale di 18 scuole coinvolte.

L’obiettivo è quello di fornire ai giovani adolescenti un ruolo attivo nella sensibilizzazione e nella formulazione di idee innovative intorno ai goals dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto a settembre 2015 dai governi dei 193 Stati membri dell’Onu). I ragazzi, dopo un percorso di didattica integrato con giochi e attività teatrali, sarebbero stati chiamati a raccontare il loro punto di vista sulle criticità economiche, sociali e ambientali della città, in una restituzione pubblica in Piazza Maggiore. Questo evento, cui ne sarebbe seguito un altro più conclusivo all’Arena del Sole, era previsto per il 19 aprile, ma è stato rinviato a data da destinarsi, quando le misure di sicurezza nelle scuole permetteranno di tornare a lavorare in presenza e completare le attività previste dal laboratorio.

Abbiamo scelto di intervistare alcune persone coinvolte nel progetto per raccontare, attraverso le loro voci, come è stato vissuto l’inizio di questo laboratorio, le difficoltà incontrate e i propositi per il futuro. Ne è venuto fuori un intreccio di pensieri e riflessioni, che restituiamo in una forma composita di parole e immagini. Un trittico di relazioni, complicazioni e areazioni.

Rel-azioni

L'Agenda 2030 dalla piazza alle mura scolastiche

Ogni scelta porta con sé il peso di un ragionamento. Scegliere significa “sciogliere” questo stesso ragionamento. Recidere, mettere un punto, può essere sinonimo di partire? Talvolta sì: chi comincia un viaggio, una relazione o un progetto, forse mette sempre un punto, piccolo o grande che sia, da qualche parte. Nel caso della prof. Maria Manaresi del Liceo Laura Bassi, la decisione di integrare la didattica con un laboratorio di cittadinanza attiva potremmo definirla un punto di partenza, piccolo ma molto profondo, generato da un incontro fulmineo.

«Mi ha molto colpita la proposta del Teatro dell’Argine di lavorare sui problemi del territorio, analizzandoli sotto una luce più ampia, quella delle questioni sociali e ecologiche globali», racconta la prof. Manaresi. «Un interessante tentativo di sintesi tra il generale e il particolare, l’ideale e il reale». L’esperienza educativa di Politico Poetico approda così nelle scuole bolognesi agitata da una tensione non indifferente, quella che, sovvertendo gli opposti, contamina le asfittiche “competenze” e genera nuovi campi di azione. «Sentivamo il bisogno di uscire dalla nostra zona di comfort e riscattare il teatro dal suo “isolamento” aggiunge Micaela Casalboni, fondatrice del Teatro dell’Argine e ideatrice del progetto Politico Poetico mettendo il teatro al servizio di ciò che interessa ai ragazzi oggi: il futuro del nostro pianeta».

Sembra ormai un ricordo molto lontano, ma solo pochi mesi fa migliaia di adolescenti invadevano le strade di Bologna per il Fridays for Future. Dalla ressa del corteo alle mura scolastiche, il passo come può essere? Spontaneo, respingente, leggero? Beatrice, Livia e Elena della 3°F del Liceo Laura Bassi ci confessano che, se è vero che molti loro coetanei conoscono già le questioni affrontate dall’Agenda 2030, «sentirle spiegate con parole semplici e in modo divertente è importante perché permette di capirle più a fondo». Il momento della discussione in classe, per Seyna, Emna e Sharon della 3° CR dell’Istituto Rosa Luxemburg, è esaltante e spaesante allo stesso tempo: «Inglobare diversi punti di vista su un’unica tematica significa allargarne i confini, darle spessore, spingerla verso direzioni inaspettate». Una “conoscenza generativa” che sospende la didattica nozionistica per alimentare una relazione dialogica fondata sul gioco, l’interazione, il desiderio.

«Il teatro snocciola le questioni politiche e sociali – sottolinea Casalboni – facendo emozionare i ragazzi: è questo legame con le cose concrete che poi genera la volontà di prendersene cura». Risiede qui, forse, tutta la necessità di una relazione costante, in divenire, che si consuma in presenza. Perché è innegabile che la “cura” pretenda una distanza ravvicinata.

Complic-azioni

Come mantenere vivo il fuoco di un ragionamento fecondo

Che fare, quindi, con un progetto di teatro e cittadinanza attiva per le scuole, quando a essere vietata è proprio la compresenza, la vicinanza dei corpi? È possibile continuare il lavoro, sfruttando la didattica a distanza? Queste sono alcune delle domande intorno a cui la compagnia del Teatro dell’Argine si è posta in seguito alla chiusura delle scuole. La decisione finale, a lungo ponderata, è stata quella di sospendere il laboratorio, con l’obiettivo di riprenderlo quando si potrà tornare a svolgere la didattica in presenza, dentro la scuola. «Del resto argomenta Casalboni quando è stato imposto il lockdown, le classi coinvolte nel progetto avevano appena concluso le prime lezioni introduttive, più frontali, per cominciare il lavoro propriamente creativo, quello in cui ogni studente sperimentava per costruirsi il proprio intervento, il proprio goal per la città di Bologna».

Era giusto, insomma, offrire ai ragazzi tutto quello che il progetto aveva da offrire al meglio, piuttosto che occuparne il tempo con sostituzioni tempestive ma poco efficaci. La soluzione è stata molto apprezzata sia dai professori che dai ragazzi, come ci spiega la professoressa Giorgi dell’Istituto Rosa Luxemburg, che già da molti anni segue i laboratori per le scuole condotti dal Teatro dell’Argine: «Visto il rapporto che si era creato tra gli attori della compagnia e gli studenti puntualizza la professoressa credo che fosse comunque necessario trovare un momento di incontro, anche online, che permettesse di mantenere vivo il fuoco di un ragionamento estremamente fecondo come quello sulle disuguaglianze sociali e i disastri ambientali». In alcune classi si è dunque tenuta una videolezione in cui si è riflettuto insieme su cosa fosse cambiato durante il lockdown rispetto ai punti dell’Agenda 2030.

A essere emerso con forza in questo periodo di crisi è l’inestricabile complessità del sistema in cui viviamo: laddove l’ambiente migliora, le condizioni sociali ed economiche di gran parte della popolazione peggiorano. Una situazione paradossale che le ragazze del Liceo Laura Bassi, Beatrice, Livia e Elena, ci descrivono con sguardo lucido e al tempo stesso disilluso: «Abbiamo vissuto la sensazione che tutto stesse per cambiare, ma al contempo, intorno a noi, sembrava tutto fosse rimasto uguale». Il mondo intero attraversa un’emergenza pandemica, ma nell’intimo, nel quotidiano, in casa con i genitori, i giorni si susseguono tutti uguali. Quando poi, iniziata la fase due, si può finalmente uscire di casa, «l’eccitazione iniziale per il ritorno alla “normalità” viene bombardata dalla tristezza. La realtà che c’è fuori non la riconosciamo più». La città sembra aver cambiato volto, e forse non è più chiaro di cosa sappia questa normalità.

Are-azioni

Puntare in alto lo sguardo

Sullo schermo l’immagine di Piazza Maggiore, vuota con i carri armati sullo sfondo, lentamente si smaterializza. Al suo posto i volti dei giovani attori e delle giovani attrici del Teatro dell’Argine che, in webcam, salutano con sincero affetto gli studenti delle scuole. Questo videomessaggio viene diffuso sui canali social del progetto il 19 aprile, giorno in cui si sarebbe raggiunta un’importante tappa del lavoro di Politico Poetico: la restituzione in piazza degli speech ideati dai ragazzi e dalle ragazze del laboratorio.

Guardando il display del pc proviamo a immaginare come sarebbe stato quel giorno la piazza: brulicante come sempre di persone e disseminata di cassette della frutta su cui salire, prender parola, comporre un gesto, una frase. Uno spazio aperto e imprevedibile in cui il confronto diretto con l’altro va costruito, giocato nell’immediata realtà. «A essere sinceri, l’idea di parlare in piazza mi spaventava molto – ci confessa Seyna – poi ho capito che quest’esperienza andava presa come una sfida con se stessi. Se una cosa ti sta veramente a cuore non hai paura di parlarne, neanche davanti a centinaia di sconosciuti».

Anche Sharon, sicura di vincere l’imbarazzo, incalza: «Se tutti la pensano così, non succederà mai niente. Invece credo che dovremmo essere noi i primi a mobilitarci». Tra le righe scorgiamo l’afflato di questa azione collettiva temporaneamente assente, sospesa, rinviata. Occupare i luoghi della città per ridisegnare, con il corpo e con il linguaggio, lo spazio dell’ascolto. Una tensione orizzontale, etica e politica, che si dà nel suo essere processo, «luogo in cui tutti collaborano per un fine comune, esprimendosi, ragionando», per usare le parole con cui le stesse Sharon e Seyna hanno definito “il teatro”.

Cosa può fare il teatro quando l’immagine della città – così come quella del futuro – diviene incerta, improvvisamente porosa, labile, piena di vuoti? Cos’è che occupa questo vuoto? Alla domanda “cosa vorresti migliorasse nella tua città?”, le ragazze della 3 CR dell’Istituto Rosa Luxemburg sembrano tutte d’accordo sullo stesso punto: che diminuisca l’inquinamento, lo smog delle auto e delle industrie. Il loro sguardo punta inesorabilmente in alto, teso ad annusare la qualità dell’aria. Quella che riempie i nostri polmoni, la terra, tutti i viventi. Oggi più che mai risuonano limpide le parole del filosofo Mbembe, ricordate nei giorni dell’assassinio di George Floyd: «Prima di questo virus, l’uomo era già minacciato di soffocamento». Lo scorso 9 giugno Piazza Maggiore è stata occupata dal sit-in in solidarietà del movimento Black Lives Matter. Una settimana fa lo hanno fatto i Kepler-452 che, con venti spettatori, hanno dato vita allo spettacolo Lapsus Urbano – Il primo giorno possibile. Tutti rigorosamente distanziati e con le mascherine. In cuffia una voce dice «Fermati. Ricordati di respirare». Il futuro è già qui?

* La foto in apertura dell’articolo è di Luciano Paselli; le immagini all’interno sono state realizzate da Emna Khelifi, Seynabou Sene e Sharon Elia per il lavoro “Io ai tempi del Covid” realizzato dal Teatro dell’Argine.

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